Carissimi fratelli e sorelle,
il nostro vescovo, padre Beniamino, nella sua omelia di domenica scorsa in occasione dell’apertura del Sinodo, ci ha posto una domanda fondamentale che scuote le nostre coscienze: cosa ci manca?
È una domanda diretta, che colpisce nel profondo e che dovrebbe farci perdere il sonno. È una domanda
che dobbiamo porci, anzitutto a noi stessi e poi come comunità e come chiesa diocesana.
Questo Sinodo ci ha fortemente messi in discussione, ci ha messi in movimento, la percezione che abbiamo, infatti, è proprio quella di un dinamismo laborioso, impegnato e impegnativo; le domande
sono tante, le risposte, seppur con difficoltà, non tardano ad arrivare.
In questi mesi, come consiglio pastorale, ci siamo messi in ascolto delle esigenze del territorio e delle voci che lo abitano, abbiamo ricercato gli strumenti che abbiamo a disposizione, ci siamo confrontati con le nostre paure e i nostri limiti, ma soprattutto abbiamo chiesto a noi stessi dove sia finita la “gioia dell’annuncio”.
“…partirono senza indugio” (Lc 24,33)
L’esperienza dei discepoli di Emmaus dice la nostra stessa esperienza: l’esperienza del Risorto che spezza il pane, l’esperienza d’amore nell’ascoltare la Sua Parola. È a partire da questo che nasce la
gioia dell’annunciare Colui che abbiamo incontrato, ascoltato e visto. La dinamica dell’annuncio racchiude in sé un mondo di significati.
Come comunità abbiamo compreso, nel corso degli anni, che annunciare non significa declamare semplicemente l’elenco dei precetti e delle verità di fede, non basta, infatti, provare un certo sentimento di bontà, non si tratta di sterile dottrina né di filantropismo. Il nostro sentire, il nostro parlare e il nostro agire devono avere un unico centro: Gesù Cristo.
Annunciare è testimonianza, è comunione, è speranza. Annunciare implica un’uscita, un uscire non solo materiale, non basta varcare la soglia della Chiesa e camminare per le strade, significa invece andare incontro all’altro, abbandonando la nostra autoreferenzialità.
Dobbiamo chiederci allora: dov’è rivolto il nostro sguardo? Troppo spesso ci siamo guardati allo specchio e ci siamo sentiti belli, buoni, a posto con la coscienza, ma il mondo è altrove. Il mondo della guerra, della violenza, delle scelte difficili, è lo stesso che ci chiede accoglienza, che ha bisogno delle nostre cure, della nostra speranza.
Questo tempo di crisi allora può diventare tempo propizio: non avendo più soluzioni già pronte che
richiedono solo di essere applicare, siamo chiamati a pensare nuove strade con il medesimo coraggio
e la stessa umiltà dei primi discepoli.
La nostra presenza, il nostro camminare insieme, il nostro comune “eccomi” a Cristo e alla comunità
parrocchiale, sono segni evidenti che il cambiamento è possibile.
Il percorso intrapreso ci apre un orizzonte sconfinato, ricco sì di ostacoli, ma pieno di nuove possibilità.
L’ascolto costante della Parola di Dio e la preghiera sono il nostro bastone e la nostra bisaccia. Attraverso di essi ci viene donato uno sguardo nuovo: i nostri occhi imparano a contemplare per poter
riconoscere negli altri il Volto di Cristo, Volto che ci fa comprendere che non esiste fede senza carità e condivisione. Passo dopo passo ci accorgiamo della bellezza di essere uomini e donne uniti nella stessa comunità e protesi verso l’altro: il sogno che si sta realizzando della “Casa di Francesco” è e diventerà il frutto di questo amore incondizionato.
Al termine della sua visita pastorale nella nostra parrocchia, il nostro vescovo ci aveva raccomandato
in modo particolare la cura per la famiglia, specialmente quelle “neonate”, e la cura per i giovani.
Sono questi gli aspetti che richiedono maggiormente la nostra attenzione e il nostro impegno.
Una delle gioie più grandi in questo nostro cammino, è indubbiamente quella di sapere che non siamo
soli: non è solo ognuno di noi ma, soprattutto, non è sola la nostra parrocchia. Ci siamo scoperti
parte, infatti, come forse non abbiamo mai fatto, non solo della comunità di San Francesco di Paola
in Scafati, ci siamo sentiti parte della Chiesa di Nola, uniti dallo Spirito Santo e guidati amorevolmente dal nostro pastore Beniamino, il quale rivolge a noi queste parole: “Se specialmente oggi ci vuole coraggio per vivere, ancor di più ce ne vuole per vivere da discepoli […]. Ci vuole coraggio per recuperare dalle profondità dell’anima la vocazione missionaria di testimonianza, ci vuole coraggio per esercitarla, ci vuole coraggio per esorcizzare l’ansia da prestazione e la paura dell’insuccesso […].
Ci vuole coraggio per rendere ragione, con dolcezza e con rispetto a chiunque domandi della speranza
che è in noi” (dall’Omelia per l’apertura del Sinodo, 11 ottobre 2015)
E allora, in forza di queste parole, non mi resta all’inizio di questo anno pastorale, che augurarvi e
augurarci con gioia: coraggio! partiamo senza indugio!
don Peppino, parroco
Domenica 18 ottobre 2015